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Ambiente e salute: uniti da un filo invisibile

Il rapporto con l’ambiente è una delle determinanti fondamentali dello stato di salute della popolazione umana.

La biodiversità influenza ogni aspetto della salute umana: fornisce aria e acqua, cibi nutrienti, conoscenza scientifica e risorse per la medicina, resistenza naturale alle malattie e mitigazione dei cambiamenti climatici; inoltre, può influire sulla salute favorendo la circolazione di agenti patogeni e altri fattori biologici (come pollini e altri allergeni); può agire per mezzo di fattori non biologici, come contaminanti chimici e fisici (in questo caso, è più difficile determinare una relazione causa-effetto e gli studi epidemiologici cercano di descrivere e quantificare i danni da esposizione, sia acuta che cronica, a diverse sostanze).

Ogni modifica del delicato equilibrio tra uomo e natura, quindi, può avere conseguenze più o meno gravi sulla salute stessa dell’uomo.


L’interdipendenza tra gli esseri umani e tutti gli altri esseri viventi è stata dimostrata di recente (come sottolinea anche l’ONU) da eventi che, purtroppo, si sono dimostrati catastrofici come «gli incendi boschivi in Brasile, negli Stati Uniti e in Australia, l’invasione di locuste in tutta l’Africa orientale e, ora, una pandemia globale». Gli ultimi anni, infatti, hanno visto aumentare fattori come cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, cattiva qualità dell’aria, desertificazione, deforestazione, contaminazione spesso irreversibile delle falde acquifere e della catena alimentare, che compromettono in maniera grave l’equilibrio tra uomo e natura.


Secondo l’OMS, tra i 10 fattori ambientali più rischiosi per la salute umana troviamo l’inquinamento dell’aria e i metalli pesanti (arsenico, cadmio, piombo, mercurio, diossine, pesticidi, benzene). Numerose altre sostanze tossiche sono inoltre presenti nel nostro ambiente di vita, sia in quello confinato (“indoor”), sia all’esterno (“outdoor”), e possono entrare nel nostro corpo con l’alimentazione, l’ingestione, l’uso di acque contaminate o attraverso la cute.

Sempre l’OMS, stima che oltre il 25% delle malattie negli adulti ed oltre il 33% nei bambini sotto i 5 anni siano dovute a cause ambientali evitabili e che siano circa 13 milioni le morti attribuibili annualmente ad esposizioni ambientali, di cui oltre 7 milioni legate al solo inquinamento atmosferico.

L’inquinamento atmosferico rappresenta il fattore di rischio ambientale più rilevante per la salute della popolazione mondiale e la maggiore suscettibilità dell’infanzia agli inquinanti è dovuta al fatto che i bambini, in proporzione al peso, respirano, mangiano, bevono più di un adulto e, per il loro comportamento (gattonare, portare tutto alla bocca, eccetera), sono molto più esposti ad agenti tossici.


Sulla base di questi dati allarmanti, la società europea si trova oggi ad affrontare importanti sfide per la salute umana, alcune delle quali possono essere risolte grazie ad un nuovo ed innovativo approccio basato sulla natura. Parchi urbani, spazi verdi, viali alberati e tetti verdi sono solo alcune delle misure impiegate per migliorare la salute e il benessere degli europei.

La Commissione Europea ha stimato che 420.000 persone sono morte prematuramente nel 2010 a causa della scarsa qualità dell’aria in Europa: gli spazi naturali possono allora giocare un ruolo importante nel ridurre rischi per la salute grazie alla capacità delle piante di assorbire gli inquinanti. Inoltre, le città densamente popolate spesso registrano temperature nettamente superiori rispetto alle zone limitrofe: le aree protette, gli spazi verdi e le infrastrutture verdi urbane, come i tetti verdi, allora, possono contribuire a limitare il calore, generando corridoi di aria fresca.


CAMBIAMENTI CLIMATICI


I cambiamenti climatici in atto sono purtroppo attribuibili, in larga misura, alle attività umane che producono emissioni di gas serra. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il riscaldamento globale è riconducibile ad alcuni principali agenti inquinanti di origine antropica: il biossido di carbonio (CO2), che deriva dalla combustione di carburanti fossili per il riscaldamento e la produzione di elettricità; il metano, legato alle attività agricole, all’allevamento di bestiame e alla combustione di carburanti fossili; il monossido di azoto, la cui causa principale sono i fertilizzanti usati nell’agricoltura intensiva.

Il Quarto Rapporto dell’IPCC conclude che i cambiamenti climatici sono responsabili con alta probabilità:

  • delle variazioni di neve, ghiaccio e terreno ghiacciato, con conseguenti cambiamenti in alcuni ecosistemi artici e antartici

  • di effetti sui sistemi idrologici, quale il riscaldamento di laghi e fiumi di molte regioni, con effetti sulla qualità delle acque interne;

  • di cambiamenti dei sistemi biologici terrestri, quali l’anticipo degli eventi primaverili come la fioritura, la migrazione degli uccelli e la deposizione delle uova;

  • di cambiamenti dei sistemi biologici marini e acquatici associati a un aumento delle temperature dell’acqua.

In Europa, ad esempio, la riduzione delle aree costiere causata dall’aumento del livello del mare avrà conseguenze sull’habitat di diverse specie che lì si riproducono e nutrono (buona parte della flora europea, come quella presente presso la tundra e la Alpi, diventerà vulnerabile, in pericolo o destinata all’estinzione). L’intensità dei cambiamenti climatici è eterogenea e alcune regioni sono quindi più colpite di altre (così come eterogeneo è l’impatto in termini ambientali e socioeconomici), e molti sistemi naturali stanno già risentendo dei cambiamenti climatici, in particolare dell’aumento della temperatura.

I cambiamenti climatici hanno già iniziato a produrre effetti anche sulla salute umana, contribuendo al carico globale di malattie e decessi prematuri. Per avere sempre più prove a disposizione dell’associazione tra cambiamenti climatici e salute, sono in corso ricerche epidemiologiche volte ad analizzare gli ambiti ancora poco esplorati e identificare, all’interno di una popolazione, la quota di soggetti più vulnerabili. Parte delle ricerche, poi, utilizza modelli in grado di chiarire quale sarà l’impatto sulla salute di scenari climatici futuri, permettendo così di ridurre il grado di incertezza.

Attualmente, gli effetti osservati dei cambiamenti climatici sulla salute umana sono:

  • Caldo e ondate di calore sulla salute. Toccano maggiormente soggetti a rischio, come anziani, persone affette da malattie croniche, persone di basso livello socioeconomico o con condizioni abitative disagiate. Possono causare problemi respiratorie cardiovascolari e portare a morti premature.

  • Aumento dei decessi e delle malattie causate da precipitazioni intense, inondazioni, uragani, incendi e siccità. Per fare un esempio concreto: le inondazioni che hanno colpito la Bosnia Erzegovina, la Croazia e la Serbia nel 2014 hanno causato 60 decessi e interessato più di 2,5 milioni di persone. Oltre all'impatto immediato sulla salute, ci sono state conseguenze anche sulle operazioni di soccorso e sui servizi sanitari pubblici (molti ospedali si sono allagati, portando difficoltà nel fornire le cure necessarie ai pazienti). Le inondazioni, poi, possono trasportare agenti inquinanti e chimici provenienti da strutture industriali, acque reflue e di fognatura, causando la contaminazione di acqua potabile e terreni agricoli.

  • Anticipazione della stagione dei pollini nell’emisfero Nord, con l’incremento delle malattie allergiche causate dai pollini.

  • Aumento del numero di decessi e patologie attribuibili agli inquinanti atmosferici, in particolare all’ozono, la cui formazione dipende in gran parte dai livelli di temperatura e umidità.

  • Cambiamenti della distribuzione spaziale, dell'intensità e stagionalità delle epidemie di malattie infettive (come la meningite meningococcica) e delle malattie trasmesse da vettori (come malaria e Dengue). Insetti come zecche e zanzare sopravvivono e si moltiplicano con maggiore facilità, causando malattie come la Malattia di Lyme, la Dengue e la malaria anche in nuove aree in cui il clima, in precedenza, non era favorevole allo sviluppo e alla trasmissione di tali patologie. Ma non solo: infatti, il Global Burden of Disease Study (2015) ha dimostrato che i cambiamenti climatici non incidono solo sulla trasmissione delle malattie infettive, ma anche su altre patologie: ad esempio, la mortalità per melanoma, associata all’esposizione ai raggi ultravioletti, è fortemente aumentata in Europa, America e nei paesi del Pacifico Occidentale.

  • Aumento di tossinfezioni alimentari (come la salmonellosi) e di tossine prodotte dall’aumento di «fioriture» di alghe.

  • Aggravamento della malnutrizione della popolazione nei Paesi in via di sviluppo a causa dell’aumento della siccità e del decremento dei raccolti agricoli.

  • Maggiore vulnerabilità delle popolazioni che vivono nelle zone costiere a bassa altitudine a causa dell’infiltrazione di acqua salata nelle riserve di acqua dolce, di allagamenti con conseguenti spostamenti delle popolazioni, in particolare nelle regioni densamente abitate (Bangladesh). Queste migrazioni hanno anche mostrano come la prevalenza delle malattie non-comunicabili tenda ad aumentare velocemente, in particolare nel sud-est asiatico, dove la vulnerabilità della popolazione è aumentata del 3,5% dal 1990.

  • Maggiore vulnerabilità delle comunità che vivono nell’Artico a causa dei cambiamenti nella dieta legati alla migrazione e distribuzione degli animali, per il possibile incremento nella concentrazione di metilmercurio nei pesci e nei mammiferi marini con conseguente passaggio all’uomo.

I cambiamenti del clima si associano, infine, ad una forte diminuzione della food safety (qualità del cibo a disposizione) e della food security (quantità di cibo a disposizione o facilità di accesso al cibo), portando quindi alla malnutrizione, dal momento che la produzione alimentare risulta minacciata da intemperie che, si prevede, diventeranno sempre più frequenti e devastanti.

Non solo l’agricoltura, ma anche la pesca e l’allevamento marino sono minacciati: tra il 2003 ed il 2015 si è registrato un aumento della temperatura media delle acque marine in 16 dei 21 bacini analizzati, con conseguente sbiancamento dei coralli per stress termico e riduzione annua della quantità di pescato.

C’è un rimedio per questa situazione?

La risposta immediata per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici è quella dell’adattamento: sistemi di allarme per prevedere in anticipo l’arrivo di condizioni di rischio per la salute della popolazione; programmi di prevenzione mirati ai sottogruppi di popolazione a maggior rischio; diffusione della climatizzazione nei luoghi pubblici e nelle abitazioni. Queste sono le risposte di adattamento messe in atto dalla maggior parte dei Paesi europei dopo l’ondata di calore del 2003. Tuttavia, alcuni interventi di adattamento come l’uso di aria condizionata nelle abitazioni, sono destinati a lungo termine ad aumentare il consumo energetico e le emissioni di CO2 e ad accentuare le diseguaglianze nella salute della popolazione.

La risposta a lungo termine, allora, potrà essere solo quella della mitigazione. Questa comporta: la riduzione delle emissioni di gas serra attraverso interventi nel campo dell’agricoltura, della produzione di energia elettrica, dei trasporti e dei consumi energetici nelle abitazioni; riduzione del consumo di carne e di alimenti di origine animale, che avrebbero l’effetto di ridurre le emissioni di gas serra prodotte dall’allevamento del bestiame.

Un ruolo rilevante dovrà comunque essere svolto dalla comunità scientifica e dagli operatori sanitari, che hanno il compito di produrre evidenze per i decisori politici sugli interventi da adottare e sulla loro efficacia e di informare la popolazione su comportamenti e stili di vita da modificare.


E LA PLASTICA?

Nonostante ci sia ancora molto da chiarire sul possibile impatto della plastica sulla salute umana, i rischi sono evidenti e le conoscenze attuali impongono di applicare soluzioni per eliminare definitivamente la plastica.

I rischi per la salute umana si possono trovare in ogni fase della lavorazione della plastica: nelle sostanze chimiche rilasciate durante l’estrazione del petrolio e la produzione delle materie prime; nell’esposizione agli additivi chimici rilasciati durante l’utilizzo delle materie plastiche; all'inquinamento dell’ambiente e del cibo che può derivare dal rilascio di plastica nell’ambiente; nelle microplastiche, come frammenti e fibre, che con le loro piccole dimensioni possono entrare nel corpo umano attraverso il contatto, l’ingestione o l’inalazione.


Ma cosa sono le microplastiche?

Non esiste ancora una definizione unanime da parte della comunità scientifica, soprattutto a causa del numero ancora limitato di studi a riguardo. Attenendosi alla definizione dell’Efsa (l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), le microplastiche sono particelle di dimensioni comprese tra i 5 millimetri e gli 0,1 micrometri. Sotto questa soglia parliamo di nanoplastiche, delle quali conosciamo pochissimo, ma che presto saranno destinate a diventare la nuova frontiera della ricerca in materia. Le dimensioni ridotte portano alla contaminazione della catena alimentare della fauna marina. Tracce di microplastiche sono state ritrovate nei pesci, nei molluschi, nei crostacei e nel plancton (l’alimento di base di moltissime specie acquatiche). Oltre che nei pesci, sono state ritrovate tracce anche nei polli e nei suini di allevamento nutriti con mangimi di origine ittica; nell’acqua; nella birra; nel sale marino.


Per quanto riguarda l’impatto sull’uomo, ci sono ancora molti punti interrogativi in merito all’esposizione umana attraverso gli alimenti e ai possibili effetti nocivi. In un documento pubblicato nel 2016, l’Efsa affermava come fosse poco probabile un impatto negativo sulla salute umana, almeno per quanto riguarda le microplastiche. Quello che è stato verificato su colture cellulari è: un effetto di stress ossidativo, caratteristica comune a diversi altri inquinanti; alcune tipologie di microplastiche possono competere nel tratto intestinale per l’assorbimento di micronutrienti essenziali come iodio, ferro e rame; la possibilità di veicolare all’interno dell’organismo microrganismi patogeni o altri inquinanti.

Per quanto riguarda le nanoplastiche, alcuni test effettuati sugli organismi marini hanno destato preoccupazione per la capacità di indurre effetti sul sistema nervoso. I pesci esposti, infatti, mostravano danni al sistema nervoso e alterazioni del comportamento.


La parola d’ordine resta comunque cautela perché, parlando di microplastiche, non si può dimenticare che ogni frammento preso in esame spesso presenta una composizione chimica diversa, che rende molto difficile creare una casistica universale e individuare un focus per le future ricerche.


Ma come può entrare nel nostro corpo la plastica e cosa possiamo fare a riguardo?

Lo studio ha riportato un'ampia gamma di modelli di ingestione. Pur essendo consapevoli dei limiti di questo campo di ricerca ancora in evoluzione, i risultati indicano come il consumo di cibi e bevande può comportare un ingestione settimanale media di circa 5 grammi di plastica, a seconda delle abitudini di consumo. Alcuni studi hanno poi evidenziato un elenco di alimenti e bevande comuni contenenti microplastiche, come acqua potabile, birra, frutti di mare e sale.


Un altro grande problema sono i rifiuti plastici che vengono dispersi nell’ambiente.


Circa l'87% dei rifiuti mal gestiti finiscono nell’ambiente dando vita al problema dell’inquinamento da plastica. Rifiuti plastici sono stati trovati, ad esempio, sul fondo della Fossa delle Marianne e nel Mar glaciale artico.

Gli animali (mammiferi, rettili, uccelli e pesci) rimangono intrappolati in grandi detriti di plastica, che causano lesioni acute o croniche e perfino la morte; gli animali ingeriscono anche grandi quantità di plastica e non sono in grado di far passare la plastica attraverso i loro sistemi digestivi. Inoltre, è stato dimostrato che le tossine della plastica ingerita danneggiano la riproduzione e compromettono il sistema immunitario. Infine, l'inquinamento da microplastiche altererebbe le condizioni del suolo, il che può influire sulla salute della fauna e aumentare la probabilità che sostanze chimiche dannose penetrino nel suolo.







FONTI


Rapporto ambiente - salute (generale)



Rapporto cambiamenti climatici - salute


Epidemiol Prev 2009; 33 (6): 195-198

https://www.saluteinternazionale.info/2019/02/i-cambiamenti-climatici-e-limpatto-sulla-salute/


Rapporto inquinamento da plastica - salute





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