Fino a poco tempo fa si parlava davvero poco di vulvodinia.
Provando a chiedere in giro cosa fosse, la risposta era sempre la stessa: “vulvodi…che?”.
Tuttavia, negli ultimi mesi sembra che qualcosa si stia muovendo: se ne parla molto sui giornali, sui social; su Instagram si trovano pagine che provano a raccontare l’impatto della vulvodinia nella vita delle donne che ne soffrono, cercando di offrire talvolta un punto di vista meno drammatico.
Qualche mese fa, si è arrivati ad un grande traguardo: grazie all’importanza mediatica che ha acquisito e al racconto, da parte di personaggi noti, della quotidianità con la vulvodinia, alla Camera è stata presentata una proposta di legge che mira al riconoscimento della vulvodinia come malattia invalidante e sottolinea l’importanza della diagnosi e la cura di essa e delle patologie del pavimento pelvico.
Ma quindi cosa è questa vulvodinia?
La vulvodinia è una condizione di dolore che si manifesta in assenza di una singola causa specifica per oltre 3 mesi, localizzato a livello vulvare. Viene avvertita come un dolore, bruciore, pizzicore, stiramento ed è accompagnato talvolta da rossore.
Viene considerata ancora oggi come una malattia rara, ma in realtà è una patologia che interessa il 10-15% delle donne di tutte le età e etnia ed è spesso sotto diagnosticata: a causa della scarsa consapevolezza o dell’assenza di specialisti/e che possano trattarla a livello multidisciplinare, succede che le donne non ricevono una diagnosi immediata o corretta, con un ritardo diagnostico stimato di circa 5 anni!
Tutto ciò ha un impatto negativo importante sulla qualità della vita della donna, che spesso prima di trovare un miglioramento dei sintomi sperimenta più terapie.
Maggiormente interessate sono sicuramente la sfera sessuale, l’intimità della coppia, la percezione che la donna ha di se stessa, nonché la vita sociale e lavorativa.
Per inquadrare al meglio la vulvodinia e trattarla a 360°, è necessaria la partecipazione di più figure: il/la ginecologo/a, figura fondamentale nel primo approccio e nella diagnosi, accompagnato da fisioterapisti/especializzati/e nel trattamento del pavimento pelvico, a psicologi/he, a urologi/he.
Un po’ di nozioni di anatomia…
Con il termine “vulvodinia” intendiamo un dolore vulvare, ma cosa è la vulva?
La vulva rappresenta i genitali femminili esterni ed è composta da più strutture: al davanti si trova il Monte di Venere, seguito all’indietro da grandi e piccole labbra, clitoride, orifizio uretrale esterno, dall’apertura del canale vaginale e dall’insieme delle ghiandole vestibolari maggiori (del Bartolini) e minori (di Skene).
Al di dietro, termina poco prima dell’ano, dove si trova la commessura delle grandi labbra (forchetta vulvare).
Spesso si utilizza impropriamente il termine “vagina” per indicare gli organi genitali femminili esterni, ma la vagina è un organo a sé stante che rappresenta il canale di collegamento tra utero e l’esterno.
All’interno della definizione di vulvodinia, si ritrova una forma più frequente e localizzata al vestibolo vulvare, chiamata vestibolodinia o, indicando genericamente un’infiammazione, vestibolite vulvare.
Il vestibolo vulvare è la porzione compresa tra le piccole labbra e l’orifizio vaginale.
Come è classificata la vulvodinia
Nel 2015, le società “International Society for the Study of Vulvovaginal Disease” (ISSVD), “Boards of Directors of the International Society for the Study of Women’s Sexual Health” (ISSWSH), “International Pelvic Pain Society” (IPPS), hanno redatto una classificazione del dolore vulvare persistente e della vulvodinia, distinguendole rispettivamente in dolore vulvare dato da una causa specifica e dolore vulvare di durata oltre i 3 mesi senza una chiara causa identificata.
Nello specifico, all’interno della prima categoria troviamo i dolori vulvari causati da infezioni (es. ricorrente candidosi, herpes), infiammazione (es. lichen sclerosus), neoplasie, disordini neurologici (nevralgia post-erpetica), trauma, cause iatrogene (post operatorie, chemoterapia, radiazioni), deficit ormonali (atrofia vulvovaginale).
La vulvodinia invece, che cause identificate non ne ha, è classificata in base a varie caratteristiche del dolore:
- Localizzata (es. vestibolodinia, clitoridinia) o generalizzata o mista
- Provocata (da contatto, sfregamento, penetrazione) o spontanea o mista
- Comparsa (primaria o secondaria)
- Durata: intermittente, persistente, costante, immediata, ritardata.
Come si presenta
Per definizione, ciò che caratterizza principalmente la vulvodinia è il dolore localizzato a livello della vulva.
Molto spesso, le donne si presentano al/la medico/a riferendo rapporti sessuali intensamente dolorosi, la cosiddetta dispareunia, che impedisce loro l’inizio o la prosecuzione dell’atto sessuale.
Tuttavia, la dispareunia è uno dei sintomi che può dare la vulvodinia ma non è sempre presente, quindi è necessario valutare su più aspetti la donna prima di fare diagnosi.
Inoltre, le cause di dispareunia possono essere diverse dalla vulvodinia.
Generalmente, quindi, si parla di un dolore vulvare, di intensità variabile da donna a donna, che può essere avvertito come una coltellata (soprattutto all’inizio del rapporto sessuale) o può essere riferito come una sensazione di pizzicore o di punture di spillo, oppure come un bruciore tipo scottatura, o ancora come una sensazione di stiramento.
Il dolore può essere di tipo generalizzato o localizzato: nel primo caso, si estendeestenderà a tutta la vulva ed è per questo che ci si riferisce a questa come vulvodinia. Nel secondo caso invece, il dolore può essere localizzato in punti specifici, riferiti direttamente dalla donna o individuati durante una visita ginecologica accurata.
La vulvodinia localizzata riguarda prevalentemente la zona vestibolare (in quel caso parleremo di vestibolodinia o sindrome vulvo-vestibolare), estendendosi anche alla zona clitoridea (clitoridodinia).
Altre caratteristiche che può assumere il dolore è la presentazione continua o intermittente, può essere provocato o spontaneo:
- Vulvodinia provocata: i dolori sono esacerbati principalmente dal contatto, dalla stimolazione, dallo sfregamento, dalla penetrazione vaginale. Anche indossare dei jeans, della biancheria di tessuti che non siano cotone, oppure accavallare le gambe, mantenere la postura seduta per molto tempo, andare in bicicletta, provocano un dolore importante. Riguarda solitamente la forma localizzata.
- Vulvodinia spontanea: il dolore è presente senza stimolazione esterna vera e propria. Riguarda solitamente la forma generalizzata.
Oltre al dolore, la vulvodinia dà manifestazione di sé in altro modo?
Oltre che di malattia rara, spesso si fa riferimento alla vulvodinia come malattia “invisibile”.
Questo avviene perché può non dare delle manifestazioni visibili di sé: in alcuni casi, la vulva può risultare infiammata, si può ritrovare rossore o turgore o ancora dei piccoli taglietti in determinate zone difficili da vedere, ma generalmente la vulva si presenta senza alterazioni, rosea.
In alcuni casi invece, la vulvodinia si può manifestare attraverso altri disturbi, ad esempio quelli dell’apparato urinario, sotto forma di disturbi vescicali, senso di pesantezza vescicale o fastidiose cistiti (principalmente post-coitali) di difficile inquadramento.
Quali sono le cause della vulvodinia?
Le cause specifiche di vulvodinia non sono chiare: ci sono delle ipotesi che trovano accordo sul fatto che la compartecipazione di una serie di fattori differenti, biomedici e psicosociali, possa essere implicata nella comparsa e nella cronicizzazione del dolore vulvare.
Inoltre, molti studi hanno evidenziato che traumi diretti o indiretti, allergie da contatto o infezioni vulvovaginali (soprattutto quella micotica sostenuta da Candida) possano rappresentare un innesco all’infiammazione locale e quindi alla stimolazione dolorifica continua che può portare ad alterazione della sensibilità dolorifica.
Tra i fattori biomedici si ritrovano:
- Alterazioni dei meccanismi del dolore periferico e centrale: la vulvodinia è caratterizzata da iperalgesia (aumento della sensibilità al dolore, ingiustificata per lo stimolo dolorifico a cui si viene sottoposti) e allodinia (uno stimolo non dolorifico può determinare dolore) nell’area vulvovaginale. Si è visto come vi è anche un incremento della densità di fibre nervose a livello del vestibolo, che correla con il livello locale di infiammazione. Molti studi hanno mostrato una riduzione importante della soglia sensoriale e del dolore, che porta ad un fenomeno di sensibilizzazione periferica e successivamente centrale, ovvero una alterazione della trasmissione dell’impulso dalla periferia ai centri nervosi superiori.
- Disfunzioni dei muscoli del pavimento pelvico: il pavimento pelvico ha una azione fondamentale di sostenimento degli organi, ma è implicato anche nelle funzioni fisiologiche come la minzione o la defecazione. Questo pavimento muscolare, se eccessivamente contratto o difficilmente contratto, può determinare anche una compressione di tutte le strutture che sostiene, tra cui l’introito vaginale. All’ipertono muscolare appena descritto quindi è associata anche una difficoltà nella penetrazione vaginale e dolore, che è un meccanismo che si autoalimenta dato che quest’ultimo contribuisce ad una sorta di meccanismo di difesa. La valutazione della contrazione del pavimento pelvico è quindi fondamentale alla diagnosi, poiché deve essere trattata adeguatamente.
- Fattori infiammatori: vari studi hanno evidenziato la iperattivazione di alcune cellule coinvolte nel processo infiammatorio, i mastociti.
- Altri fattori: embriologici, ormonali, ecc… .
Tra i fattori psicosociali si ritrovano traumi, abusi sessuali, ansia e depressione, risposta al dolore del partner, fattori che riguardano la coppia e molto altro.
Il dolore vulvare può portare a disfunzioni sessuali vere e proprie, alla diminuzione del desiderio, dell’eccitazione, all’evitamento da parte della donna all’avere rapporti e a ricercare intimità.
Molte donne riferiscono sentimenti di vergogna, inadeguatezza come partner sessuale, bassa autostima.
La causa, quindi, non è unica e nota: c’è una interazione tra più componenti che possono essere implicate in modo diverso nella comparsa di vulvodinia.
Come si fa diagnosi di vulvodinia
La diagnosi di vulvodinia è assai complessa, non solo perché nella maggior parte dei casi la percezione del dolore non ha un correlato visibile a livello vulvare, ma soprattutto per l’assenza di figure specializzate nel trattamento di questa patologia. Inoltre, parlare di disturbi della sessualità può risultare ancora un tabù in molti contesti e questo complica ulteriormente la possibilità di esplorare il dolore e di fare una valutazione completa della donna.
Bisogna sempre ricordare che nella vulvodinia il dolore è reale: a causa dellaalla scarsa conoscenza di questa malattia, le donne spesso si sentono dire che il dolore è frutto solo della loro testa, che non c’è nessuna alterazione a livello vulvare e quindi è impossibile che soffrano davvero.
La donna con vulvodinia riceve una diagnosi con in media un ritardo di 5 anni, dopo aver sperimentato una serie di terapie che non portano beneficio e, molte volte, peggiorano solamente il quadro clinico.
A causa del dolore, viene evitata completamente l’intimità, i rapporti sessuali, le relazioni con il/la partner. Tutte queste situazioni che si vengono a creare necessitano quindi di una valutazione ginecologica insieme ad una valutazione psicologica, che possa accompagnare e sostenere la donna nel suo dolore che spesso non viene compreso.
Per una diagnosi il più accurata possibile, è necessario che la donna con dolore vulvare che si protrae da più di 3 mesi faccia riferimento al medico, solitamente un/a ginecologo/a.
Oltre alla visita però, è fondamentale ricostruire la storia (clinica e non) della donna.
Bisogna indagare su vari aspetti della sua vita, dalle relazioni sociali a quelle amorose, dall’intimità all’aspetto lavorativo. Questo è necessario per approcciarsi al meglio e capire realmente l’impatto che la vulvodinia ha nella donna che ne soffre.
A questo punto, bisogna indagare sul dolore che viene riferito: come viene avvertito, se è provocato o spontaneo, se è continuo o intermittente, se si verifica solo durante i rapporti e se in un punto ben preciso o se è esteso, generalizzato.
Utile anche indagare sulla presenza di patologie concomitanti, se il dolore è insorto a seguito di un evento in particolare, se la donna è in menopausa (una delle conseguenze della menopausa è infatti la secchezza vaginale che potrebbe essere una delle cause di dispareunia).
E’ necessario escludere quindi qualsiasi altra causa di dolore vulvare, soprattutto le infezioni vulvovaginali: spesso la vulvodinia viene scambiata per un’infezione genitale, motivo per cui si ricorre a trattamenti eccessivi che possono peggiorare ulteriormente la patologia!
Una volta conosciuta la storia del dolore, bisogna ricorrere all’esaminazione dei genitali esterni, momento cruciale della visita.
Anche se dolorosa, l’ispezione è fondamentale per poter vedere come è l’anatomia della vulva, se ci sono lesioni, infiammazioni o altro che potrebbe arrecare dolore vulvare.
Nel caso di vulvodinia o vestibolodinia, come già detto, la vulva e il vestibolo possono essere assolutamente normali o, in alcuni casi, possono risultare arrossate, eritematose, ma quest’ultimo non è necessario per la diagnosi dato che nella maggior parte dei casi non si manifesta.
Insieme all’esaminazione dei genitali, è importante “toccare” varie zone vulvari, per poter identificare la localizzazione dell’area dolorifica: questo che si effettua è il “Cotton Swab Test” (o test del cotton fioc).
Il test del cotton fioc è un test che prevede l’esplorazione delle aree genitali, dalla meno a quella più dolorifica, attraverso l’utilizzo di un bastoncino rivestito da cotone (è proprio quello che si utilizza per i tamponi o, ancora più comunemente, per l’igiene dell’orecchio).
Nella vulvodinia generalizzata il dolore è per lo più spontaneo, quindi il bastoncino può o meno determinare dolore.
Nella vestibolodinia, quindi nella forma localizzata al vestibolo, il Cotton Swab Test è importantissimo perché permette di andare a capire quali sono i punti esatti in cui il dolore viene avvertito maggiormente.
Per ogni area esplorata quindi si chiede alla donna se prova dolore ed eventualmente di quantificarlo su una scala da 1 a 10.
Infine, è necessario andare a valutare anche il pavimento pelvico, come funziona e se è eventualmente presente una ipercontrazione.
Molti studi infatti hanno rilevato la presenza di una ipercontrazione del pavimento pelvico, soprattutto degli strati superficiali.
Ipercontrazione e dolore hanno una relazione sinergica: la ipercontrazione causa dolore, il dolore genera una reazione di difesa che porta la donna a contrarre ancora di più la muscolatura.
Importante ricordare però che l’ipertono non è sempre presente nelle donne con vulvodinia, il dolore provato è reale anche senza una disfunzione del pavimento pelvico.
Dalla vulvodinia si guarisce?
Dalla vulvodinia è possibile guarire.
La diagnosi è difficile, il trattamento è lungo, coinvolge più specialisti/e competenti e numerose terapie (alcune delle quali parecchio costose), ma ci sono molti casi di donne che sono riuscite a guarire dal dolore.
La terapia, quindi, deve essere personalizzata e deve essere mirata al trattamento di tutte le componenti: da quella nervosa a quella muscolare, non dimenticando la sfera emotiva e psichica della donna che non deve essere assolutamente trascurata.
Le terapie fisiche prevede l’associazione di più medicamenti, orali o locali, che possano trattare il dolore neuropatico, la componente infiammatoria e muscolare.
Inoltre, qualora vi sia un ipertono del pavimento pelvico, è necessaria una riabilitazione che può essere ottenuta con esercizi mirati e tecniche di stimolazione elettrica (es. TENS).
L’intervento psicologico è un utile contributo alla terapia fisica, spesso lunga ed estenuante, necessario alla riduzione del dolore, al ripristino della funzione sessuale e al sostegno delle relazioni di coppia.
Conclusioni
Alla fine di questa trattazione, a tratti forse troppo tecnica, della vulvodinia ci sarebbero tante considerazioni da fare.
È possibile però comprendere da soli come è importante dare importanza al dolore della donna e mai sminuirlo: è reale, talvolta invalidante, spesso non compreso.
Il dolore vulvare è accompagnato da una costellazione di fattori che possono influire in modo negativo sulla vita della donna a 360 gradi, in tutti gli ambiti, da quello relazionale a quello lavorativo.
La vulvodinia può essere motivo di assenteismo al lavoro, può influire sulla voglia della donna di intrattenere relazioni sociali, di compiere azioni quotidiane che solitamente svolte; può alterare la percezione che ha di sé stessa e influenzare in modo negativo la vita di coppia.
Conoscere la vulvodinia è quindi fondamentale, far sì che se ne parli è il primo passo per poter dare voce al dolore di queste donne, condannate ad avere una malattia invisibile, ma non inesistente.
Icaroe Team
Fonti
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Jacob Bornstein, Andrew T. Goldstein, Colleen K. Stockdale, et al. 2015 ISSVD, ISSWSH, and IPPS Consensus Terminology and Classification of Persistent Vulvar Pain and Vulvodynia. J Sex Med 2016;13:607-612
Sophie Bergeron, Barbara D. Reed, Ursula Wesselmann, et al. Vulvodynia. Nature 6, Article number: 36 (2020)
Polina Vasileva, Strahil A. Strashilov , Angel D. Yordanov. Aetiology, diagnosis, and clinical management of vulvodynia. Menopause Rev 2020; 19(1): 44-48
Andrew T. Goldstein, Caroline F. Pukall, Candace Brown. Vulvodynia: Assessment and Treatment. J Sex Med 2016;13:572e590
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