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COME #RestaACasa CHI UNA CASA NON CE L’HA? Detenuti


La salute è uno dei beni primari dell’uomo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale e non consiste soltanto nell’assenza di malattie o infermità. Il possesso del migliore stato di sanità che si possa raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun essere umano, qualunque sia la sua razza, la sua religione, le sue opinioni politiche, la sua condizione economica e sociale. I Governi hanno la responsabilità della sanità dei loro popoli: essi per farvi parte devono prendere le misure sanitarie e sociali appropriate”.



I bisogni di salute della popolazione dei detenuti


Secondo il rapporto del Ministero della Giustizia, i detenuti nelle prigioni italiane al il 31 di Gennaio erano più di 60.000, circa 10.000 in più rispetto alla capienza regolamentare prevista. L’Associazione Antigone riporta che in alcuni istituti l’affollamento superava il 190%, situazione che spesso significava ospitare tre detenuti in celle di 12 metri quadri. In un ambiente simile le condizioni igieniche sono inevitabilmente precarie anche perché solitamente la disponibilità di prodotti per la pulizia e l’igiene è piuttosto limitata. Un altro elemento importante è l'età media elevata della popolazione carceraria: sempre secondo l’Associazione Antigone l'età media dei detenuti è cresciuta, e oltre il 60% ha più di 40 anni, inoltre 67% inoltre è risultato affetto da almeno una patologia. Anche per queste ragioni la popolazione detenuta rappresenta una popolazione particolarmente a rischio, con delle necessità sanitarie maggiori rispetto alle persone che vivono in comunità, poiché il modello stesso carcerario è di per sé causa di disagio psichico e fisico.

Ma queste maggiori esigenze sanitarie non si accompagnano purtroppo ad una maggiore capacità del Sistema Sanitario Nazionale e delle istituzioni politiche di dare risposte più pronte ed efficaci. Negli istituti penitenziari si concentrano le persone appartenenti ai gruppi più marginalizzati della società, spesso con bassi livelli di istruzione, con storia di uso di droghe e con ridotto accesso al sistema sanitario.


L’OMS ci informa che le persone che vivono in carcere hanno in genere condizioni di salute peggiori rispetto alla popolazione generale, e spesso affrontano disturbi che sono principalmente di natura psichica, infettiva e gastroenterica. Alcuni comportamenti poco salutari come il consumo di tabacco e l’abuso di alcol, associati alla malnutrizione e alla mancanza di attività fisica, possono aggravare patologie croniche come il diabete e l'ipertensione, che hanno prevalenza più elevata rispetto alla popolazione non istituzionalizzata. Alcuni studi hanno identificato che proprio comorbidità quali ipertensione e diabete, ma anche BPCO e malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, rappresentano fattori di rischio significativi per i pazienti con COVID-19.

Quanto alle malattie trasmissibili, la popolazione detenuta è esposta al contagio di malattie infettive legate alla scarsa igiene, alle condizioni di sovraffollamento all’interno delle carceri, all’uso iniettivo di droghe e a pratiche sessuali a rischio. Inoltre, i detenuti sono sottoposti ad elevati livelli di stress, ansia e privazione di sonno, che influiscono sulla salute sia fisica che psichica.

Per tali ragioni, la condizione carceraria richiede sicuramente un approccio globale alla salute, a partire da una accurata analisi dei bisogni di salute specifici di questa popolazione.


Riassumendo in breve, le persone private della loro libertà sono dunque più vulnerabili a varie malattie e condizioni mediche, il che potrebbe comportare un aumento del rischio di trasmissione da persona a persona di agenti patogeni, incluso il virus che causa COVID-19.


E se l’epidemia arriva in carcere?


L'epidemia COVID-19 ha subito una rapida evoluzione. Il 30 gennaio 2020, il direttore generale dell'OMS ha dichiarato che l’epidemia costituiva un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, e il successivo 11 marzo 2020 è stata dichiarata una pandemia.

Come fronteggiare questa emergenza nel contesto delle carceri? In tutti i paesi, l'approccio fondamentale che si sta cercando di seguire è diretto verso la prevenzione dell'introduzione dell'agente infettivo in questi luoghi, limitandone la diffusione all'interno della prigione e riducendo la possibilità di diffusione dalla prigione alla comunità esterna. Ogni paese ha la responsabilità di aumentare il proprio livello di preparazione, allerta e risposta per identificare, gestire e curare nuovi casi di COVID-19, riconoscendo che non esiste un approccio unico per la gestione di casi e focolai. In questo contesto è di fondamentale importanza lavorare in stretta collaborazione tra agenzie di sanità pubblica, servizi sanitari e luoghi di detenzione, riunendo servizi di comunità e servizi di detenzione. In particolare, dal momento che, come sappiamo, non esiste un vaccino per prevenire COVID-19, tutto il personale e le persone nelle carceri e in altri luoghi di detenzione dovrebbero avere una conoscenza delle strategie di prevenzione.


Tra le strategie di prevenzione finora suggerite dall’OMS al fine di ridurre la diffusione dell’infezione nel contesto penitenziario, dove la promiscuità e la convivenza di un numero molto elevato di cittadini può rappresentare un aumentato fattore di rischio, troviamo le misure suggerite anche per la popolazione comune, come ad esempio misure di protezione personale (igiene delle mani, utilizzo di soluzioni disinfettanti, rispetto delle distanze fisiche, fornitura di dispositivi di protezione individuale al personale), misure ambientali (pulizia e disinfezione ambientale), procedure di termo-scanner a tutte le persone che hanno accesso alle strutture (anche dipendenti) e così via.

Purtroppo, in questi contesti sono state attivate altre misure specifiche straordinarie: la maggior parte dei Paesi europei ha adottato ulteriori misure che però ledono, in parte, i diritti dei cittadini detenuti provocando reazioni di protesta verificatesi, nel corso degli ultimi giorni, anche in Italia.


I provvedimenti utilizzati nei vari Paesi per evitare la diffusione del virus risultano molto simili e si concentrano, principalmente, sulla sospensione delle visite da parte di familiari e parenti e di altre attività esterne che possono favorire la contaminazione dell’ambiente detentivo.

In tutta Italia, a causa di tali misure preventive, sia nelle grandi carceri che in quelle di media o bassa sicurezza, si sono registrate varie proteste e ribellioni (soprattutto tra il 7 e il 9 marzo). Alcuni di questi tumulti hanno avuto purtroppo esiti fatali; la situazione più grave si è registrata a Modena, dove le vittime sono stati sei, mentre altri tre detenuti sono deceduti a Rieti. Le vittime sono decedute per overdose da farmaci, probabilmente metadone, presi dall’infermeria approfittando del clima di rivolta. Altri detenuti invece hanno approfittato delle sommosse per evadere dai luoghi di detenzione, come a Foggia ad esempio, dove si è verificata un’evasione di massa durante una protesta.


Queste vicende devono far riflettere su come i detenuti sono non solo probabilmente più vulnerabili a svariate patologie e specialmente all’infezione da COVID-19, ma sono anche particolarmente vulnerabili a misure che si presentano come ancora più restrittive rispetto al resto della popolazione, elemento che in un contesto che può essere già di forte stress come quello carcerario può purtroppo a conseguenze drammatiche.

Per questo motivo, l'OMS ribadisce importanti principi che devono essere rispettati, soprattutto nel corso di questa pandemia, nelle carceri e in altri luoghi di detenzione, e che sono saldamente radicati nella legislazione sui diritti umani e nelle norme internazionali in materia di prevenzione e giustizia penale; l'accesso alle informazioni e un'adeguata assistenza sanitaria, anche per i disturbi mentali, sono ad esempio aspetti essenziali per preservare tali diritti in questi contesti.


Cosa si può fare?


Dunque che soluzioni possono essere adottate per superare l’isolamento dei detenuti, per deflazionare il sistema penitenziario senza ripercussioni per la sicurezza, per proteggere i lavoratori?

Sicuramente le autorità statali dovrebbero istituire un sistema di coordinamento aggiornato che riunisca i settori della salute e della giustizia, mantenga informato il personale carcerario e garantisca che tutti i diritti umani nelle strutture siano rispettati.

Nel tentativo di ridurre la distanza sociale dei cittadini detenuti, molti Paesi, fra cui l’Italia, hanno cercato di favorire la comunicazione attraverso l’acquisto di dispositivi mobili (smartphone) e l’attivazione di canali di videoconferenza attraverso i quali i detenuti potranno contattare i propri familiari e i propri legali con modalità controllata.


Insieme ad altre, l’associazione Antigone (che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario) ha proposto alcune misure che potrebbero essere adottate per fronteggiare l’emergenza proteggendo i più vulnerabili. Tra le proposte, eccone alcune:


  • Estendere la detenzione domiciliare, senza limiti di pena, anche a persone che abbiano problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19;

  • Concedere a tutti i detenuti che usufruiscono della misura della semilibertà di trascorrere la notte in detenzione domiciliare;

  • Estendere la detenzione domiciliare ai condannati per pene detentive anche residue fino a trentasei mesi;

  • Concedere l’utilizzo di dispositivi elettronici per consentire, sotto il controllo visivo di un agente di polizia penitenziaria, una telefonata o video-telefonata quotidiana della durata di massimo 20 minuti a ciascun detenuto ai numeri di telefono cellulare oppure ai numeri fissi già autorizzati;

  • Fornitura immediata e straordinaria di DPI a tutto il personale penitenziario;

  • Immediata e progressiva sanificazione di tutti gli ambienti carcerari;

  • Piano straordinario e immediato di assunzioni di personale penitenziario;

  • Riportare la salute in carcere al centro delle politiche sanitarie, nazionali e territoriali, attraverso il reclutamento straordinario di medici, infermieri e operatori socio-sanitari da destinare all'assistenza sanitaria in carcere.


Il Team di Icaroe in collaborazione con la dott.ssa Martina Francaviglia e Nadia Younis



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