Nel 1967 Christiaan Barnard, contro ogni previsione ed anticipando di molto i tempi, riuscì nella storica impresa di trapiantare il cuore di una 24enne in un 55enne.
Il 13 dicembre del 1967 venne effettuato, a Città del Capo in Sudafrica, il primo trapianto di cuore umano, evento considerato tutt’oggi uno dei perni fondamentali della medicina del Novecento. Ma in pochi sanno che il ricevente visse per soli 18 giorni dopo l’intervento e che sia la legislazione dell’epoca sia le tecniche chirurgiche non erano ancora pronte a questo salto nel vuoto.
I problemi legali ed etici
Oggi, per decretare la morte di una persona, si segue un rigido protocollo. Questo prevede la presenza di un medico legale, di un medico anestesista rianimatore e di un neurofisiopatologo che devono dichiarare in comune accordo l’assenza di attività elettrica cerebrale, il fallimento della cosiddetta “prova di apnea” e l’assenza di riflessi. Ma non è sempre stato così.
Ancora durante la seconda metà del Novecento, per decretare la morte di una persona, ci si riferiva al cuore, ovvero si veniva dichiarati ufficialmente morti quando il cuore cessava di battere.
Tuttavia, già all’epoca, numerose innovazioni tecniche e scientifiche stavano mettendo in discussione questa scelta: erano stati introdotti i respiratori artificiali che garantivano la ventilazione anche se il paziente non era in grado di respirare autonomamente; era stato inventato il defibrillatore cardiaco in grado di intervenire per fermare gravi aritmie o far ripartire un cuore. Sempre più individui con lesioni celebrali e senza segni di attività nervosa potevano quindi continuare a vivere grazie alla ventilazione garantita dal respiratore. Non erano in grado di rispondere a stimoli esterni e non potevano respirare da soli, ma il cuore continuava a pompare e le macchine erano in grado di mantenerli in vita per periodi più o meno lunghi.
Ma la decisione di “staccare la spina” non aveva ancora alcuna regolamentazione legale o giuridica e questo creava grande confusione. Per effettuare un trapianto, poi, era fondamentale avere un cuore battente, perché altrimenti non sarebbe stato utilizzabile in quanto troppo danneggiato (praticamente morto) e questo creava enormi problemi legali ed etici.
Infine, le conoscenze dell’epoca non erano ancora tecnicamente perfette per affrontare questo tipo di operazioni e non era ancora stato trovato un modo per scongiurare eventuali rigetti (la ciclosporina venne introdotta infatti solo nel 1971).
L’intervento
L’operazione avvenne presso l’ospedale Groote Schuur di Città del Capo. Nessuno all’epoca si aspettava che sarebbe stato proprio Christiaan Barnard ad effettuare questo tipo di intervento. Infatti, nonostante si stesse preparando studiando a fondo la teoria, non aveva ancora avuto l'opportunità di fare pratica su animali per affinare la sua tecnica chirurgica, come invece facevano già da tempo altri suoi colleghi, e questo non lo rendeva il più papabile a diventare il primo chirurgo a tentare l’operazione.
Barnard invece era più che convinto di poter riuscire nell'impresa, aveva anche trovato il candidato ricevente ideale, Louis Washkansky, un paziente di 54 anni con già 3 infarti alle spalle e grossi problemi a livello renale ed epatico, nonché diabetico. Un paziente difficile che aveva poche chance di sopravvivenza in ogni caso e questo lo rendeva il candidato perfetto per un intervento ad altissimo rischio e mai provato prima. Ed aveva anche ottenuto il via libera dalla direzione dell’ospedale.
L’occasione perfetta per l'operazione si presentò nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1967: una giovane donna di 24 anni, Denise Darvall, venne ricoverata dopo un incidente e risultava essere cerebralmente morta ed in coma irreversibile.
Washkansky fu portato in sala operatoria intorno all’una di notte, gli venne fatta l’anestesia e venne collegato alla macchina cuore-polmoni, fondamentale per poter garantire la circolazione e la respirazione del paziente nel momento in cui il suo cuore sarebbe stato fermato per poter procedere all’espianto. Nella sala operatoria adiacente, Denise Darvall era collegata al respiratore che consentiva al suo cuore di continuare a battere ed era pronta per poter procedere all’espianto.
Il corpo di Washkansky venne raffreddato a 30°C per evitare danni celebrali, dopodiché gli fu bloccata l’aorta ascendente, venne recise l’arteria polmonare, mentre le parti degli atrii dove erano presenti lo sbocco delle vene cave e delle vene polmonari vennero lasciati in sede per rendere più facili le operazioni di sutura.
Il cuore della Darvall venne quindi preso e messo nel petto di Washkansky e suturato, dopodiché venne testata la circolazione dell’aorta per verificare le suture. Si procedette quindi a far risalire la temperatura del paziente e quando questa raggiunse nuovamente i 36° Barnard, con l’aiuto di un defibrillatore, alle ore 5:52, fece ripartire il cuore.
Per finire Washkansky venne staccato dalla macchina cuore-polomoni, il suo petto venne richiuso e l’anestesista iniziò la procedura di risveglio verso le 8:30. Il paziente fu quindi portato in una stanza preparata appositamente per ridurre al minimo i contatti ed il rischio di infezioni.
Dopo qualche giorno l'uomo riuscì a mettersi a sedere e parlare e persino le condizioni dei suoi organi migliorarono. Venne addirittura intervistato da giornalisti provenienti da tutto il mondo.
La morte di Washkansky e l’anno dei trapianti
Washkansky cominciò a stare male pochi giorni dopo per colpa di una polmonite causata da un'infezione che partiva da una ferita alla gamba. Purtroppo, dal momento che era già sotto una forte terapia steroidea per impedire un eventuale rigetto, non gli vennero somministrati antibiotici ma venne incrementata la terapia perché si pensava che fossero proprio manifestazioni di un possibile rigetto. Washkansky morì il 21 dicembre.
Nonostante la morte dell'uomo, l’operazione di Barnard fu comunque un successo poiché rese possibile ciò che fino a poco tempo prima risultava impensabile e fu quindi uno stimolo per tutto il mondo medico.
Barnard decise di effettuare un secondo trapianto a distanza di pochissimo tempo, il 2 gennaio 1968 e a ricevere il cuore fu Philip Blaiberg. Questa volta le cose andarono decisamente meglio e l’uomo sopravvisse per 19 mesi.
Il 1968 venne soprannominato l’anno dei trapianti perchè, dopo il successo del secondo trapianto di Barnard, molti chirurghi si cimentarono nel tentativo di emularlo. Furono quasi un centinaio i trapianti che eseguiti nel corso di uello stesso anno, ma meno della metà dei pazienti operati sopravvisse fino alla fine dell’anno.
Secondo un censimento del dicembre del 1970 proposto dall’American Heart Association, solo 23 dei 166 pazienti sottoposti a trapianto di cuore fino a quel momento erano ancora vivi. Il problema maggiore erano i rigetti, perché non c’era ancora un farmaco realmente efficace che potesse prevenire tale complicazione.
Proprio a causa di questi fallimenti la maggior parte dei chirurghi rinunciò, per un certo periodo, a tentare nuovamente la strada del trapianto. Solo Barnard continuò a praticarli, finché riuscì ad operare.
Fu nel corso degli anni Ottanta che la situazione migliorò grazie all’introduzione della ciclosporina e le operazioni di trapianto ripresero in maniera molto più capillare.
Sicuramente, bisogna riconoscere a Barnard la messa in evidenza della necessità di avere linee guida comuni in tutti i paesi che indicassero in maniera precisa cosa fosse la morte celebrale. Fu nel 1968 che l’Università di Harvard pubblicò quelli che sarebbero passati alla storia come i Criteri di Harvard, che definirono in maniera precisa cosa fosse un coma irreversibile e che indicarono come una persona senza alcuna attività celebrare potesse essere considerata morta anche se il suo cuore continuava a battere grazie all’aiuto delle macchine.
Barnard continuò ad operare fino al 1983 quando, a causa dell’artrite reumatoide, non fu più in grado di affrontare un'operazione chirurgica. Nei 13 anni successivi fece altri 22 trapianti di cuore.
Morì a Cipro nel 2001 all'età di 78 anni, durante una vacanza, per un attacco di asma. Molti giornali dissero che ebbe un infarto, alla ricerca probabilmente di un po' di romanticismo.
Emanuele Zola
Fonti:
Commentaires