La storia di Ignaz Semmelweis, il medico ungherese che nel 1847 scoprì l'importanza di lavarsi bene le mani e che finì istituzionalizzato.
Lavarsi le mani è un’azione che oggi compiamo quotidianamente, un’abitudine che diamo quasi per scontata e acquisita fin da quando eravamo bambini. In questo periodo ci è stata ribadita più volte per evitare il contagio da Coronavirus: l’ECDC (il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) infatti raccomanda lavaggi di almeno 20 secondi utilizzando acqua e sapone.
Tuttavia, questa pratica non è sempre stata vista di buon occhio. Fino alla metà del 1800 questa banale operazione non veniva considerata essenziale, neanche in ambito medico. Fu solo grazie a Ignaz Semmelweis che questa abitudine si consolidò nel tempo, fino ad essere considerata prassi fondamentale per la prevenzione sia in ambito quotidiano, sia in ambito sanitario. Anche Google ha dedicato a Semmelweis un doodle per la sua scoperta, un breve video tutorial che illustra tutti i passaggi da compiere per ottenere una corretta igiene delle mani.
L’intuizione
Prima della fine del 1800 lavarsi le mani non era parte di nessuna procedura ospedaliera e, come può risultare ovvio, le infezioni successive le pratiche chirurgiche e mediche erano molto frequenti. Tra queste complicanze c’era anche la “febbre puerperale” o “febbre da parto”: le donne si ammalavano poco dopo il parto e molte di loro andavano incontro a morte, nonostante le cure profuse alle quali venivano sottoposte.
Oggi sappiamo che questa grave infezione dell’utero, successiva a un parto o a un aborto, è provocata da batteri, in particolare da Escherichia coli, da Streptococchi o altri anaerobi che infettano l'endometrio (lo strato più interno dell'utero) nelle zone in cui questo ha subito lesioni. All’epoca, però, tutto questo non era ancora noto e si pensava che il morbo fosse portato da uno squilibrio degli “umori” del corpo umano.
Semmelweis, che lavorava nel primo reparto (con solo personale medico), notò che le nuove madri morivano di febbre puerperale a tassi notevolmente più alti nel suo reparto, più di quanto non accadesse in quello gestito da sole ostetriche. Il tasso di mortalità del secondo reparto, infatti, era del 36,2 ogni 1000 nascite, mentre quello del primo reparto era quasi di 99 ogni 1000 nascite.
Il tasso di morte per "febbre da parto" nel reparto ospedaliero gestito dai medici non era solo significativamente più alto di quanto non fosse nell’altro reparto, ma era anche molto superiore alla media dell'intera città di Vienna, compresi i parti in casa. Paradossalmente, era più sicuro dare alla luce un figlio da soli in un casa piuttosto che farlo nelle mani dei medici più esperti del paese.
Il giovane medico ungherese iniziò allora a cercare di capirne il motivo, valutando diverse ipotesi.
Inizialmente pensò che la malattia avesse qualcosa a che fare con la posizione della partoriente: in un reparto, le donne partorivano distese sul lato, nell’altro reparto erano invece distese sulla schiena. Propose allora di cambiare la posizione e di utilizzare tutti la stessa, ma non ci fu alcun cambiamento e il tasso di mortalità rimase il medesimo.
L’altra ipotesi che andò a valutare fu il “campanello del prete”: un sacerdote passava per dare l’estrema unzione alle donne morenti e nel farlo suonava un campanello. Questa cosa accadeva soltanto nel suo reparto e Semmelweis si chiese se le donne fossero condizionate da quel suono e ne fossero terrorizzate, tanto da convincersi di essere le prossime sulla lista del sacerdote. Il giovane medico allora dirottò il prete nel reparto delle ostetriche, ma la situazione rimase comunque immutata.
Poi, nel corso del 1847, arrivò l’intuizione. Uno dei suoi colleghi, Jakob Kolletschka, si ferì con un bisturi durante l’autopsia di una delle donne morte per "febbre da parto", sviluppando in poco tempo la stessa malattia delle partorienti e morendo poco dopo.
Semmelweis capì che la malattia era probabilmente passata dalla donna morta al suo collega e si rese conto che, a differenza delle ostetriche, i suoi colleghi, durante l'arco della giornata, assistevano gli studenti nelle autopsie (parte integrante del percorso di formazione medica) poi, nel pomeriggio, medici e studenti lavoravano nel reparto di maternità visitando le pazienti e assistendo ai parti. Le ostetriche, invece, non avevano tutti questi contatti perché lavoravano solo nel proprio reparto. Semmelweis allora ipotizzò che delle “piccole particelle cadaveriche” passassero dai cadaveri ai dottori, dai dottoti agli studenti e che, questi ultimi, le trasmettessero alle partorienti. Tra i medici non c’era la pratica di lavarsi le mani tra una visita e l’altra, come succede oggi quindi, tutti i patogeni con cui entravano in contatto durante le autopsie venivano “portati” nel reparto di maternità.
Semmelweis introdusse allor una nuova procedura: i medici dovevano lavarsi le mani con cloruro di calcio dopo ogni autopsia e prima di accedere al reparto; inoltre, anche l’attrezzatura doveva essere sanificata. I risultati si videro nel giro di poco tempo, nel corso del 1848: il tasso di mortalità del reparto gestito da soli medici scese da 99 a 12,7 ogni 1000 nascite, raggiungendo un valore del tutto confrontabile con quello del reparto delle ostetriche.
Convinto dell’enorme successo ottenuto e delle prove empiriche a disposizione, il giovane medico espose le sue scoperte sul palco della prestigiosa Vienna Medical Society, mostrando tutte le novità riguardanti la nuova pratica e i suoi enormi benefici. La sua teoria, però, andava contro tutte le conoscenze mediche dell’epoca e non venne accolta positivamente, venendo quindi rifiutata. Inoltre, le Teorie sui Batteri di Pasteur erano ancora lontane e non c’erano basi per sostenere questa nuova scoperta. Gli altri medici ritenevano inoltre la raccomandazione di lavarsi le mani come un’accusa alla loro igiene personale e al loro operato. La teoria, poi, portava con se importanti conseguenze da un punto di vista morale, dal momento che ipotizzava che tutte le donne fino ad allora decedute fossero state inconsapevolmente contagiate dagli stessi medici e studenti, morendo quindi per causa loro.
Semmelweis venne respinto e criticato aspramente nelle riviste mediche dell’epoca.
Oltretutto, il medico non aveva un carattere facile, era dogmatico e, sebbene le sue osservazioni fossero estremamente valide e di grande importanza, egli fu poco abile nel propagandare le sue teorie. Continuamente sollecitato a pubblicare le scoperte, attese ben 13 anni prima di concludere il suo trattato, “The Etiology, Concept e Prophylaxis of Childbed Fever”, che vide la luce soltanto nel 1860.
La situazione era infine complicata dal suo passato politico: Semmelweis era un nazionalista e nel 1848 aveva preso parte ai moti indipendentisti ungheresi.
Alla fine venne allontanato dall’ospedale Viennese.
Ritornato in Ungheria, trovò lavoro presso l’ospedale di Pest, sempre nel reparto maternità. Anche qui decise di istituire la pratica di igiene delle mani e, esattamente come a Vienna, la mortalità delle partorienti diminuì in maniera importante. Ma le sue idee continuavano a non venire abbracciate come egli si aspettava e l’opposizione della comunità scientifica si faceva sempre più forte.
L’internamento e la morte
La sua salute mentale, già compromessa, iniziò a risentire pesantemente di ciò che gli stava accadendo e dei continui rifiuti da parte della comunità scientifica. Quando scrisse il trattato, “The Etiology, Concept e Prophylaxis of Childbed Fever”, Semmelweis era già probabilmente nelle prime fasi di una malattia mentale, che iniziava a dare le prime avvisaglie.
Semmelweis cominciò a scrivere lettere aperte e volantini a vari medici e accademie, tutti pieni di odio, toni profetici e minacce. Arrivava sovente a dare dell’assassino a chiunque non lo ascoltasse e additava i suoi colleghi come portatori di morte per le giovani madri.
La sua aggressività e il continuo intento polemico non fecero altro che peggiorare la situazione, rendendolo sempre più emarginato e sempre meno stabile mentalmente.
Il suo stesso trattato non era ben scritto, a tratti sconclusionato, probabilmente proprio per via del suo stato mentale già alterato al momento della pubblicazione.
Amareggiato anche da sfortunate vicende familiari che accentuarono le sue sofferenze, finì per perdere la ragione e nel 1865, dopo un collasso nervoso, venne internato in manicomio. Percosso dagli infermieri, fu sottoposto a un’operazione chirurgica che gli costò un’infezione. Morì per setticemia circa quindici giorni dopo, all’età di 47 anni.
La natura della sua malattia mentale e la causa della morte sono tuttora dibattute. Le teorie su ciò che gli è accaduto e che ha portato alla fine della sua vita sono diverse, molti sono convinti che i continui rifiuti e l’ostracismo subito abbiano contributo al suo declino mentale, altre teorie invece parlano di demenza ad esordio precoce.
Semmlweis non fu l’unico medico a rendersi conto che l’igiene delle mani era fondamentale. Nel 1843 Oliver Wendell Holmes notò che l’igiene dei medici aveva effetto sulle cure apportate ai pazienti e pubblicò un trattato in cui sosteneva che i medici dovevano lavarsi le mani perché potevano esser portatori di febbre nei loro pazienti.
L’infermiera Florence Nightingale scrisse nel 1860 che “ogni infermiera doveva lavarsi con attenzione e molto frequentemente le mani ogni giorno”.
Tuttavia fu solo con la teoria dei batteri e dei microrganismi che la situazione subì una vera rivoluzione.
Infine il chirurgo britannico Joseph Lister, riprendendo le teorie di Semmelweis, migliorò drasticamente la mortalità dei pazienti sostenendo che i chirurghi dovevano lavarsi le mani e sterilizzare gli strumenti tutte le volte che passavano ad operare un nuovo paziente.
Ciò che Semmelweis aveva scoperto è qualcosa che varrà per sempre: il lavaggio delle mani è uno degli strumenti più importanti per la salute pubblica. Può impedire di contrarre l'influenza, previene la diffusione delle malattie e tiene a bada le infezioni.
Oggi, i medici e i lavoratori in campo sanitario considerano il lavaggio delle mani una pratica fondamentale, sia per se stessi che per i loro pazienti. I CDC (Centers for Disease Control and Prevention) e l'OMS di tutto il mondo hanno linee guida ben precise su come lavarsi correttamente le mani e su come asciugarle.
Emanuele Zola
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