Sviluppatasi durante l’ultimo anno del Primo conflitto mondiale, questa pandemia causò più di 50 milioni di morti, il 2,5% della popolazione mondiale.
La pandemia
Quello che investì inizialmente l’Europa nel corso dell’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale, per poi estendersi al resto del mondo, viene ancora oggi considerato come uno degli eventi più letali della storia. Conosciuta con il nome di Influenza Spagnola, questa pandemia si propagò con una velocità sorprendente in tutto il mondo e nell’arco di due anni contagiò più di cinquecento milioni di persone, causando la morte di un numero che, secondo le stime, va dai cinquanta ai cento milioni di individui.
Una famiglia con indosso mascherine per proteggersi dal virus, curioso il dettaglio del gatto anch’esso con la mascherina
Le origini
Ci sono ancora dubbi riguardo l’esatta origine del virus.
Un ospedale da campo a Camp Funston, Kansas, 1918.
Si pensava inizialmente, secondo gli studi di Humphries, che le prime avvisaglie di una nuova malattia fossero state riscontrate in Cina, dove durante l'inverno del 1917 un nuovo virus apparve per la prima volta: all'epoca la malattia fu soprannominata "malattia invernale" dai funzionari sanitari locali e causò dozzine di morti al giorno nei villaggi lungo la Grande Muraglia. L’ipotesi quindi era che la malattia si diffuse verso la fine del 1917 in Cina per poi spostarsi in tutto il mondo con la mobilitazione del Chinese Labour Corps (lavoratori cinesi chiamati a prestare servizio per conto di inglesi e francesi) e il massiccio e rapido movimento delle truppe durante il Primo conflitto mondiale.
Tuttavia recenti ricerche hanno dimostrato la presenza di una grave influenza dentro gli eserciti europei già nel corso del 1917: i medici dell’ospedale militare di Étaples, ospedale da campo situato nel nord della Francia, si imbatterono in una malattia respiratoria con un decorso molto aggressivo: i soldati sviluppavano febbre improvvisa seguita da dispnea e successiva cianosi, i polmoni si riempivano di sangue e portavano a crisi di vomito con le vittime che quasi affogavano.
I medici inviarono diversi report ai loro superiori, ma tutti gli sforzi erano concentrati sul fronte bellico e la situazione venne ignorata. Alla fine i pochi focolai della malattia si spensero.
Le tre possibili zone di origine del virus (fonte immagine NG)
Vi sono, infine, alcuni studi che indicano come possibile origine gli Stati Uniti. Come riportato da Burnet, che ha trascorso gran parte della sua carriera a studiare l'influenza, è possibile che la malattia ebbe inizio in Kansas, presso Camp Fuston, dove venne identificato un focolaio di influenza nel 1918 che uccise 48 soldati. La malattia quindi potrebbe essersi diffusa in Francia con l'arrivo delle truppe americane durante la Prima guerra mondiale.
È interessante notare che non esistono invece documentazioni di casi lontano dalle trincee. È probabile che questo sia dovuto ad una mancata registrazione degli stessi, tuttavia è possibile ipotizzare che la combinazione di diversi fattori, come la vicinanza del bestiame, l’elevata densità di popolazione nei campi militari associata all'esposizione di gas tossici nelle trincee possa essersi rivelata il terreno perfetto per lo sviluppo della malattia.
I ricercatori sono giunti alla conclusione che la concomitanza di diversi eventi associata alla debolezza di milioni di persone sottoposte alle privazioni della guerra ed alla impreparazione dei governi impegnati nel fronteggiare la guerra abbiano consentito il diffondersi dell’influenza.
Il virus
Polmone di un soldato americano ucciso dall’influenza spagnola
(Museo Nazionale Americano della Salute e della Medicina)
Una pandemia si verifica quando un virus completamente nuovo e particolarmente virulento, nuovo per il sistema immunitario, viene a contatto con una popolazione e si diffonde in essa.
Due premesse iniziali: i normali virus dell’influenza stagionale si legano alle cellule del tratto respiratorio superiore (naso e gola) e si trasmettono facilmente per via aerea. Il virus pandemico del 1918, invece, colpiva sì le cellule del tratto respiratorio superiore, ma successivamente si diffondeva anche in profondità a livello polmonare, danneggiando i tessuti e portando a quella che allora venne descritta come “bronchite purulenta”. In secondo luogo bisogna prendere in considerazione il meccanismo definito spillover: quando un virus animale compie il cosiddetto “salto di specie” ha un enorme potenziale perché l’essere umano si trova completamente privo di difese.
Il virus del 1918 aveva una combinazione molto insolita di caratteristiche genetiche che lo rendeva sia estremamente mortale che estremamente contagioso. Tendeva inoltre a colpire le persone sane di età compresa tra 18 e i 40 anni. Questo accadeva perché il loro sistema immunitario era più forte ed attaccava il virus con tutto ciò che aveva, comprese sostanze chimiche chiamate citochine. Queste "tempeste di citochine" portavano ad un danno esteso a livello del tessuto polmonare conducendo alla sua distruzione.
Il primo sequenziamento del virus fu fatto nel 1997 ad opera di Taubenberger: il ricercatore ed il suo team scoprirono che quello del 1918 era una mutazione del virus dell’influenza A, sottotipo H1N1, un virus ad RNA. Le scoperte però non si fermarono qui.
Fotografia del virus del 1918 eseguita con microscopio elettronico a trasmissione
(C. Goldsmith, Public Health Image Library)
Ogni virus presenta determinate proteine di superficie che gli consentono di infettare le cellule del tratto respiratorio e di sfuggire ad una cellula infetta ed infettarne altre. Queste proteine, chiamate HA ed NA, sono anche il bersaglio degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario per combattere le infezioni.
Nel corso dei primi anni 2000 gli scienziati riuscirono a sequenziare anche le proteine HA ed NA del virus della Spagnola e questo consentì di notare una correlazione sia con il più antico ceppo di influenza suina “classica” che con molte sequenze e strutture di ceppi di virus dell'influenza aviaria. L'analisi filogenetica iniziò a far considerare il virus del 1918 come una sorta di ponte tra mammiferi ed uccelli, suggerendo che probabilmente aveva compiuto il cosiddetto salto di specie tra il 1910 ed il 1917.
Il sequenziamento consentì di arrivare alla fase successiva, la ricostruzione e lo studio del virus. Le misure di sicurezza prese in questa occasione furono imponenti: i livelli di sicurezza nei laboratori che si occupano di agenti patogeni altamente pericolosi sono 4, il livello 1 rappresenta il rischio minimo mentre il 4 il rischio maggiore. Ogni livello consta di pratiche e tecniche di laboratorio da seguire, personale altamente formato e strutture di contenimento imponenti. Le misure di sicurezza vanno da camere di isolamento a flusso dell’aria controllato e filtrato fino a tute comprensive di respiratore ad aria purificata). Insieme a queste misure furono introdotte di nuove: una sola persona avrebbe avuto accesso al laboratorio, il Dr. Tumpey; si sarebbe lavorato al virus solo passate alcune ore dalla fine del turno di tutti i suoi colleghi e con tutti i laboratori vuoti; il laboratorio sarebbe stato accessibile solo con l’ausilio di impronte digitali e il luogo designato alla conservazione del virus ricostruito poteva essere aperto solo tramite scansione dell’iride.
Una volta ricostruito, il virus venne iniettato in alcuni topi per osservarne il comportamento: nel giro di due giorni dall’inoculazione il topo incominciava a perdere peso e dopo tre giorni tutto il tessuto polmonare era invaso e portava alla morte l’animale.
Tumpey e colleghi non avevano mai visto una cosa del genere, il virus aveva una capacità letale unica ed eccezionale. Lo definirono un “presagio delle capacità incredibili di cui la natura è dotata”.
La storia
A dispetto del nome, la Spagnola non ebbe nulla a che vedere con la Spagna.
Inizialmente venne indicata con diversi appellativi, nomi che seguivano per lo più eventi locali: si passava dalla Febbre di Parma (com’era conosciuta in Francia) alla Febbre delle Fiandre (in Inghilterra). In Spagna era nota come Soldato di Napoli (nome che derivava da uno spettacolo in cartellone e che conteneva una canzone che ebbe un enorme successo, si intitolava «Il soldato napoletano»).
L’origine del termine “Spagnola” è per lo più di natura politica, negli anni della Grande Guerra venne adoperata una pesante censura da parte dei governi che temevano il diffondersi di notizie di una imminente pandemia, non volevano il panico tra la popolazione e tra gli stessi soldati e per non compromettere gli equilibri già delicati di una guerra di trincea che si era spinta ben oltre le aspettative.
Fu così che le prime informazioni che giunsero al resto d’Europa arrivarono proprio dai quotidiani spagnoli. La Spagna era rimasta neutrale e non era soggetta a censura.Le poche informazioni che arrivarono quindi alle popolazioni europee in maniera frammentaria e convinsero le persone che l’influenza fosse limitata alla penisola iberica. Fu così che la malattia passò alla storia con il nome di Spagnola.
Articolo di giornale americano, la pandemia
viene considerata sotto controllo 1918
Tra la fine del 1917 e il 1920 l’influenza colpì, con tre diverse ondate, un terzo della popolazione terrestre, circa 500 milioni di persone, causando secondo le ultime stime fra i 50 e i 100 milioni di morti. Le prime avvisaglie furono nella primavera del 1918: il conflitto durava da quattro anni, una guerra di logoramento dove milioni di militari erano ammassati sui vari fronti, in trincee strettissime e in condizioni igieniche disastrose. Fu in questa situazione che iniziarono ad esserci decessi tra le truppe, in numero tutto sommato contenuto, molti vennero anche erroneamente diagnosticati come meningite. Alcuni medici impegnati sui campi di battaglia lanciarono l’allarme, tuttavia il quadro era ancora poco chiaro; un patologo di Chicago dopo un’autopsia si trovò davanti del tessuto polmonare pieno di emorragie, quasi liquefatto, tento di lanciare un allarme, ma non venne considerato.
Poi verso la fine di marzo, quando il conflitto entrava in una sorta di stallo dopo le sanguinose perdite dei mesi precedenti, i pochi focolai della malattia si spensero e l’allarme rientrò. Una rivista medica britannica dichiarò addirittura che l’influenza “era completamente scomparsa”.
La pandemia esplose nuovamente pochi mesi più tardi nell'emisfero settentrionale. Era l’inizio della seconda ondata, quella più aggressiva e letale; fu questa che colpì con particolare forza i giovani uomini tra i 18 e i 40 anni.
All'inizio dell’estate nuovi focolai furono rilevati in Francia e Germania per estendersi successivamente oltre manica e raggiungere il Regno Unito. Nel settembre del 1918 l'epidemia era pronta per la sua fase più letale: il conflitto ancora in corso, le trincee sovraffollate ed il continuo spostamento delle truppe consentirono all'infezione di viaggiare velocemente. Il morbo si diffuse così anche nel resto d’Europa per poi giungere negli Stati Uniti, in Asia ed in Africa, coinvolgendo persino l'Artico e remote isole del Pacifico. Ovunque nel mondo il contagio cominciò nei porti frequentati dalle navi impegnate nel trasporto truppe.
L’influenza iniziò ad uccidere con una violenza impressionante ed una velocità mai vista prima. I sintomi erano raccapriccianti: febbre altissima, senso di soffocamento, dispnea, cianosi ed infine emorragia polmonare che portava i pazienti a vomitare violentemente sangue; la morte spesso sopraggiungeva entro 3 giorni dall'insorgenza dei sintomi.
Tutto questo fu ulteriormente accentuato dal fatto che la medicina dell’epoca non aveva ancora “tecnologie” per affrontare una sfida del genere; le contromisure a disposizione erano limitate o inesistenti, non esistevano test diagnostici in grado di verificare la presenza di infezione e gli stessi medici non erano ancora a conoscenza dell’esistenza dei virus. Gli antibiotici erano ancora lontani (la penicillina fu scoperta solo nel 1928). Gli esperti dell'epoca pensavano che la pandemia fosse causata dal bacillo di Pfeiffer (ora noto come Haemophilus influenzae) oppure da una sostanza mortale, ma invisibile ai loro occhi.
Senza contromisure mediche e in assenza di un trattamento efficace la paura si propagò quasi alla stessa velocità dell’influenza.
L’influenza rappresentata come mostro,
disegno di Ernest Noble, 1918
Le centinaia di episodi che si possono rintracciare nei vari documenti illustrano una situazione disperata, racconti di persone che si svegliavano in preda ai sintomi e morivano nell’arco di poche ore. La descrizione che fece un’infermiera della Croce Rossa di Baltimora, ad esempio, sembra uscita da un film dell’orrore. Spesso veniva chiamata per visite domiciliare ai malati e giunta sul posto si ritrovava davanti a pazienti distesi a letto con accanto persone morte da giorni. Sovente si era ritrovata ad osservare scene macabre, con cadaveri spinti negli angoli delle camere da letto e ricoperti di ghiaccio per cercare di evitarne la putrefazione.
Uomini intenti a scavare una fossa comune a Filadelfia per le vittime di influenza, 1918
Le scene che ci vengono descritte a Filadelfia sembrano uscite direttamente da qualche trattato di storia sulla peste. Lunghe code di carri trainati da cavalli si potevano osservare lungo le strade della città, mentre gli addetti raccoglievano i cadaveri, abbandonati sui marciapiedi ed avvolti in coperte macchiate di sangue, per depositarli all’interno delle carrozze. I corpi erano ammucchiati uno sopra l’altro, nei carri, con gli arti che sporgevano da sotto le lenzuola. Nessuno poteva seppellire i propri morti. A New Haven, in Connecticut, John Delano racconta di come, all’età di sei anni, lui ed i suoi amici giocassero fuori da un obitorio scalando montagne di bare ammucchiate su un marciapiede, fingendosi esploratori e scalando le piramidi, del tutto ignari di quale fosse il contenuto di quelle casse.
Episodi come questo si possono rintracciare in tutti gli Stati Uniti, ed in Europa la situazione era grossomodo la medesima. In Italia la pandemia contagiò circa 5milioni di persone e causò circa 600mila morti. Al sud l’influenza colpì con maggiore forza, vista l’inadeguatezza delle strutture sanitarie e la scarsa preparazione della classe dirigente. In tutti gli stati, tra le altre cose, persevera la censura della reale portata della malattia a favore delle cronache di guerra. Fermare la complessa macchina bellica avrebbe significato enormi ripercussioni sulle capacità operative dell’esercito e questo non era plausibile in un momento decisivo del conflitto.
Infermiera della Croce Rossa con indosso una mascherina, Connecticut 1918
I medici suggerirono spesso misure di quarantena, ma furono inascoltati. L’esercito che combatteva in Europa aveva bisogno di armi e munizioni e gli operai furono invitati a recarsi in fabbrica nonostante la malattia. Gli spostamenti di migliaia di operai continuarono ad aumentare le occasioni di contagio e le pessime condizioni lavorative associate agli assembramenti non fecero altro che peggiorare la situazione.
Ci furono comportamenti deviati dalla mancanza di cure: in alcuni paesi si diffuse la convinzione che la malattia potesse essere debellata con l’alcol e questo ne aumentò il consumo; in altri si diede la colpa alle classi più povere arrivando anche a distruggerne le abitazioni. La popolazione inscenavano rituali religiosi per allontanare la malattia e spesso l’opinione pubblica iniziò ad incolpare le persone di colore di essere portatori del morbo. Le persone indossavano costantemente mascherine sanitarie ricavate dai più disparati tessuti, addirittura pelli animali.
Manifesto del comune di Milano con elenco di precauzioni da seguire, 1918
Alla fine gli stati dovettero cedere sotto i colpi della pandemia ed iniziarono a reagire. Furono diramante alcune regole: non sputare per terra, viaggiare in ferrovia il meno possibile, evitare contatti con le altre persone, non frequentare luoghi affollati (come teatri e chiese); le scuole vennero chiuse e venne ridotto l’orario di apertura dei negozi. Venne messo in pratica l’unico mezzo efficace, l’isolamento, il distanziamento sociale. La terza ed ultima ondata di influenza colpì all'inizio del 1919. Non fu feroce come quella precedente tuttavia fu comunque importante e causo un numero cospicuo di vittime.
Infine, all'improvviso, l'influenza sembrò scomparire. Le ipotesi sono diverse, è possibile che il virus perse la sua straordinaria capacità letale e che il nostro sistema immunitario avesse imparato a reagire, ma è altrettanto probabile che la quarantena abbia portato i benefici maggiori.
Le conseguenze della pandemia furono notevoli.
Secondo Laura Spinney, autrice di 1918 -L’influenza Spagnola, la pandemia che cambiò il mondo, la pandemia riconfigurò radicalmente la popolazione mondiale. Influì sul corso della Grande guerra e sulla sua conclusione, fece fare passi avanti all’India verso l’indipendenza, spinse il Sudafrica verso l’apartheid, ma soprattutto in Europa contribuì a gettare le basi per lo studio di sistemi sanitari universali che garantissero cure adeguate per la popolazione e capacità organizzative nei confronti di emergenze sanitarie. Gettò anche le basi e le condizioni per il secondo conflitto mondiale.
Emanuele Zola
Fonti:
Laura Spinney, 1918. L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo
Eugenia Tognotti, La “spagnola” in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo (1918-1919)
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