La diffusione delle cure palliative a livello globale è estremamente variegata.
Si stima che siano presenti circa nel 68% dei paesi del mondo, ma che di questi solo un 40% riesca a raggiungere almeno la metà delle persone che ne avrebbero bisogno. Con peraltro enormi disparità tra le diverse zone di uno stesso stato.
Il 68% può sembrare un numero alto, ma in termini reali è circa come lasciare fuori l’intero continente Africano. Senza dimenticare che di questa percentuale “alta”, pochi sono i paesi che forniscono un servizio di cure palliative “completo” e aggiornato.
L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha infatti stimato un numero di circa 40 milioni di persone nel mondo che necessiterebbero di cure palliative ogni anno, tuttavia solo uno scarsissimo 14% riesce ad accedervi, e principalmente grazie alla fortuna di trovarsi in paesi ad alto reddito. (1) Per essere schematici è come se di tutta Italia venissero prese in considerazione solo Roma e Napoli.
Basandosi su questo bisogno, è nata la Worldwide Hospice Palliative Care Alliance (WHPCA), un'organizzazione internazionale non governativa, con l’obiettivo esclusivo di sviluppare hospice, diffondere cultura e sensibilizzazione per le cure palliative in tutto il mondo.
Proprio questa associazione ha evidenziato come nel 2019, circa 20 milioni di persone nel mondo è morta con sofferenze EVITABILI.
L’ingresso precoce dei pazienti in cure palliative si è dimostrato utile non solo nel migliorare notevolmente la qualità di vita, ed in alcuni straordinari casi di prolungarla, come ci ha dimostrato la Dottoressa Temel nella sua ricerca sul tumore del polmone (2), ma è anche in grado di abbattere le inutili e gravose ospedalizzazioni tardive, oltre che di ridurre l’uso inappropriato della tecnologia medica e del sistema sanitario.
Il diritto alla dignità in ogni momento della vita, anche gli ultimi, e quindi le cure palliative stesse sono diventati da pochissimo un diritto umano, riconosciuto all’interno del diritto umano alla salute.
Ad oggi ci sono diversi scogli che impediscono un più ampio sviluppo delle cure palliative. La credenza per esempio che l’uso di oppiacei possa creare dipendenza anche nel paziente che ne abbia realmente necessità, la mancata conoscenza di cosa effettivamente siano le cure palliative, svariate barriere culturali e sociali sulla morte ed il morire…
Questa branca della medicina nasce in Inghilterra, ed è proprio lì in effetti, nei paesi anglofoni, che sono più sviluppate e diffuse. Inghilterra, Stati Uniti ed Australia in particolare hanno da anni scuole di specialità in cure palliative che formano specialisti ospedalieri e, dove esiste questo servizio, anche territoriali. Non possiamo inoltre dimenticare che i paesi ad alto reddito hanno un’enorme disponibilità in termini di risorse farmaceutiche e tecnologiche che li aiutano nella lotta mirata al mantenimento di un’alta qualità della vita. Tuttavia, anche in paesi avanzati come gli Stati Uniti, le cure palliative possono trovare barriere. Le assicurazioni private, per esempio, non sempre le comprendono e ne coprono quindi le spese.
Ma le cure palliative sono uguali in tutto il mondo?
Sì, o almeno dovrebbero. Le cure palliative sono regolate da diverse società scientifiche internazionali che collaborano ai fini di ottenere una linea d’azione comune che rispetti quelle che sono le principali evidenze scientifiche, con il fine di migliorare la qualità della vita e permettere al malato di mantenere sempre la propria dignità.
Tuttavia, non lo sono sempre, ogni paese realizza le cure palliative seguendo quelle che sono le proprie risorse, la propria cultura ed esperienza a riguardo. Anche la comunicazione sociale, la spiritualità e il ruolo della famiglia nel caring di fine vita sono elementi fortemente impattanti nel contribuire alla diversità dei vari modelli.
In italia la società che si occupa di cure palliative si chiama Società Italiana di Cure Palliative (SICP), è stata fondata a Milano nel 1986 e raccoglie tutti i professionisti che se ne occupano. E’ proprio questa società che decide le linee d’azione, le modalità e definisce i curriculum dei professionisti coinvolti. La SICP fa capo ad una più grossa società che ne racchiude svariate e si chiama European Association for Palliative Care, associazione nata in Italia ad opera del Prof. Vittorio Ventafridda.
Le cure palliative in fase di terminalità (senza la possibilità di regressione o guarigione della malattia) prevedono solo la sedazione palliativa, non l’eutanasia e nemmeno il suicidio assistito, che sono due realtà esistenti nei paesi europei, ma non riconosciute nelle cure palliative. La sedazione palliativa in tutto il mondo rappresenta una risposta alla paura della sofferenza del morire, alla paura della perdita dell’autodeterminazione e della lucidità mentale riconosciute come le più grandi paure della persona con malattia progressiva.
Severino Cesari ci dice del suo bisogno di cura nella malattia: “Proprio nel momento in cui pensi di esserti preso già abbastanza cura, abbastanza, e che potresti accontentarti, rimane in fondo solo quel poco di cui mi occuperò domani, che sarà mai quel poco. Questa è la sicura spia che non ti stai prendendo cura quanto potresti e non c’è domani, c’è solo la pienezza o il vuoto di oggi, a tua scelta”. (3)
Dott.ssa Cecilia Preci
https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/palliative-care
N Engl J Med. 2010 Aug 19;363(8):733-42. doi: 10.1056/NEJMoa1000678. Early palliative care for patients with metastatic non-small-cell lung cancer Jennifer S Temel 1, Joseph A Greer, Alona Muzikansky, Emily R Gallagher, Sonal Admane, Vicki A Jackson, Constance M Dahlin, Craig D Blinderman, Juliet Jacobsen, William F Pirl, J Andrew Billings, Thomas J Lynch
Con molta cura, Severino Cesari, Rizzoli Editori
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