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Immagine del redattoreTeam Icaroe

Perché ci ammaliamo?



Cosa vuol dire essere in salute? Come ci ammaliamo? Cosa vuol dire non essere malati?


Nel 1946 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) già rovesciava l’idea che la salute fosse legata soltanto al benessere del corpo, definendola come uno "stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità”.

Questa definizione nasce dopo la Seconda Guerra Mondiale, momento in cui era importante fare comprendere a tutti che la salute è un diritto, e i Sistemi Sanitari hanno il dovere di preservarla.


Questo concetto risultava però fin troppo ottimista: chi può davvero dire di essere in completo benessere fisico, psichico e sociale? Praticamente nessuno! Una persona affetta da miopia, costretta a portare gli occhiali, può essere definita sana? Può essere definito sano chi è stato licenziato dalla propria azienda e si trova in cassa integrazione?


La salute è un fine, un obiettivo o è un processo? Negli anni 80(1) si apre una dimensione attiva del concetto di salute, in cui le persone non sono soggetti passivi che aspettano di ammalarsi ed essere guariti: tutti abbiamo capacità per compiere scelte in merito alla nostra salute, avendo il diritto di vivere all’interno di ambienti salubri e in comunità pro-attive in cui i servizi sanitari si dedichino alla prevenzione delle malattie.

Mancava ancora qualcosa, e da qui si apre il dibattito che continua da più di dieci anni.

Due rinomate riviste scientifiche (BMJ e Lancet) nel 2008 e 2009 proponevano una nuova sfida: la salute come capacità di adattamento.(2)(3)


Con la prima definizione che abbiamo visto l’OMS nel 1948 creava una società di individui perfetti, sia dal punto di vista del corpo sia dal punto di vista psicologico e sociale. Ma viviamo in una società sempre più vecchia, in cui aumentano a dismisura le malattie croniche (come diabete, ipertensione ecc.) tanto che si può parlare di una vera e propria epidemia(4); è necessario quindi parlare di adattamento e resilienza. La salute diventa un concetto dinamico.


La salute ha una dimensione esperienziale, in cui l’individuo non può essere considerato un “puzzle” in cui il corpo si separa dalla sfera sociale e psicologica: ogni dimensione coesiste in modo integrato con l’altra, cambiando continuamente. L’essere umano non può essere ridotto ad un insieme quasi robotico di componenti.


Ma allora, cosa ci fa ammalare?


Certamente i fattori biologici determinano stati di salute e malattia, come i geni che ci trasmettono i nostri genitori (ad esempio quelli che portano allo sviluppo delle malattie neurodegenerative) o il nostro sesso biologico (pensiamo a tumori specifici come quello alla prostata).

Tutti però sappiamo che non basta il bagaglio con cui nasciamo: le abitudini alimentari, il fumo, il consumo di droga o alcol, l’attività fisica influenzano lo sviluppo di malattia in maniera addirittura maggiore.


Basta davvero arrivare fino a qui?


Bisogna forse andare più a fondo: le condizioni e l’ambiente in cui viviamo influenzano il nostro stile di vita e la nostra salute, modificando addirittura i nostri geni.

Ad esempio, in passato si pensava che i top manager fossero la classe più a rischio per lo sviluppo di malattie cardio-vascolari. Numerosi studi hanno invece confermato come siano in realtà le persone con reddito più basso ad ammalarsi di più.(5)(6)

Questo succede soprattutto nelle società più ricche: oggi le malattie associate una volta alle classi più agiate, sono diventate le malattie della povertà.


E nei paesi a basso reddito la situazione non è così diversa. Le malattie cardiache sono la causa dell’11 per cento delle morti nei paesi poveri, e del 17 per cento delle morti di quelli ricchi. Le malattie infettive e parassitarie o la denutrizione stanno lasciando il passo alle malattie croniche “non trasmissibili” (obesità, diabete, ipertensione ecc.).

Qualcuno risponderà che è tutta una questione di scelte personali: sono gli individui ad essere liberi di fumare, di mangiare cibo poco sano e di consumare droga.

In realtà, si è visto che le classi sociali più povere o quelle con maggiori vulnerabilità economiche (ad esempio la disoccupazione) sono quelle con maggiore presenza di fumatori, per quello che viene chiamato “stress psico-sociale”.(9)(10)


E’ stato anche dimostrato come ad esempio i paesi con maggiori disparità economiche siano quelli con una popolazione più obesa: negli Stati Uniti la percentuale degli individui obesi supera di dieci volte quella del Giappone.(7) Una relazione dell’Unicef del 2007 mostra un dato ancora più forte sui bambini: negli Stati Uniti, più del 25 per cento dei bambini è obeso contro il 7,6 per cento dei Paesi Bassi.(8)


In più, è stato visto che le condizioni sociali ed economiche possono non soltanto influenzare le abitudini di vita, ma anche modificare i nostri geni: il tipo di lavoro, lo stress percepito, o la violenza subita hanno influenze negative addirittura sul nostro DNA. Inoltre, gli individui con basso reddito e minore livello di istruzione hanno una pressione arteriosa maggiore e un più alto livello di colesterolo. Possiedono quello che viene definito “stato di stress cronico”, che favorisce l’infiammazione e che accelera l’invecchiamento delle cellule.(11)


Dobbiamo allora spostare il nostro punto di vista e cercare la causa delle cause.


Ci ammaliamo anche e soprattutto a causa dell’ambiente in cui viviamo, a causa delle differenze sociali ed economiche tra gli individui, a causa del tipo di lavoro che le persone svolgono.

Qualcuno potrebbe dire che lo scopo di ciascuno deve essere quello di migliorare le proprie condizioni. In realtà, l’individualismo sfrenato è stato dimostrato che non paga: le società più eque sono società più sane.(12)


Pensiamo agli USA, patria della “libertà”, e che tra gli stati occidentali ha le differenze sociali più marcate. Uno studio svolto da R. Wilkinson parla chiaro: la mobilità sociale (intesa come capacità di migliorare il proprio status socio economico rispetto alla famiglia di origine) vede proprio gli Stati Uniti all’ultimo posto tra i paesi ricchi.(13) Se in America nasci in una famiglia povera è molto probabile quindi che sarai povero anche in futuro.




La morale è evidente. “Se vuoi vivere il sogno americano, vai in Danimarca”.


“Perchè curare le persone per farle nuovamente tornare nelle condizioni che le rendono malate?”

Michael Marmot


Il team di Icaroe


1. The Ottawa charter for health promotion. In: World Health Organization Regional Publications - European Series. 1992.

2. Jadad AR, O’Grady L. How should health be defined? BMJ. 2008;

3. The Lancet. What is health? The ability to adapt. The Lancet. 2009;

4. Caballero B. The global epidemic of obesity: An overview. Epidemiologic Reviews. 2007.

5. Bosma H, Marmot MG, Hemingway H, Nicholson AC, Brunner E, Stansfeld SA. Low job control and risk of coronary heart disease in Whitehall II (prospective cohort) study. Br Med J. 1997;

6. Marmot MG, Bosma H, Hemingway H, Brunner E, Stansfeld S. Contribution of job control and other risk factors to social variations in coronary heart disease incidence. Lancet. 1997;

7. James PT. Obesity: The worldwide epidemic. Clin Dermatol. 2004;

8. UNICEF. Child Poverty in perspective: An overview of child well-being in rich countries. UNICEF Innocenti Research Centre Report Card 7. 2007.

9. De Vogli R, Santinello M. Unemployment and smoking: Does psychosocial stress matter? Tob Control. 2005;14(6):389–95.

10. Kouvonen A, Kivimäki M, Virtanen M, Pentti J, Vahtera J. Work stress, smoking status, and smoking intensity: An observational study of 46 190 employees. J Epidemiol Community Health. 2005;

11. Braveman P, Gottlieb L. The social determinants of health: It’s time to consider the causes of the causes. Public Health Rep. 2014;

12. Farrer L, Marinetti C, Cavaco YK, Costongs C. Advocacy for health equity: A synthesis review. Milbank Quarterly. 2015.

13. Tuters S. Wilkinson, R., & Pickett, K. (2009). The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better . London: Allen Lane. . Leadersh Policy Sch. 2012;

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